Sicurezza alimentare focus sul settore molluschicoltura in Fvg
Intervista al Dott. Manlio Palei direttore del servizio prevenzione sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria.
Il 19 agosto scorso è stato pubblicato il decreto n°1415 concernente “linee guida per l’acquisizione in banchina da parte dell’autorità competente di campioni finalizzati al mantenimento della classificazione delle zone di produzione raccolta e stabulazione dell’arco costiero del Fvg”.
Quest’atto è l’ultimo di una serie, in ordine di tempo, che mette il Fvg ai vertici per quanto concerne la sicurezza alimentare relativamente al consumo di molluschi bivalvi, un’operazione virtuosa nata e cresciuta nel tempo attraverso una fattiva collaborazione fra autorità di controllo e produttori.
Abbiamo chiesto al Dott. Palei, Direttore del Servizio Prevenzione, Sicurezza Alimentare e Sanità Pubblica Veterinaria, di farci una “fotografia” del settore.
Ci racconta Palei: “diciamo che tutto inizia dal famoso annus horribilis 2010, in cui 200 persone vennero ricoverate alle Molinette di Torino, intossicate da una partita di cozze provenienti dal golfo di Trieste. Da lì partì un’indagine del procuratore Guariniello e, grazie alla tracciabilità dei prodotti finalizzata a garantire la sicurezza alimentare, gli inquirenti arrivarono a Trieste.
Cosa avvenne allora?
Ci furono gravi problemi per i produttori, anche di natura penale, e questo causò una crisi pesantissima per il mercato della molluschicoltura in Fvg. Quando i produttori si rivolsero a me, come direttore del servizio- che all’epoca era solo della veterinaria- io gli proposi una prassi innovativa che esulava dalle norme e dalle consuetudini allora previste per la produzione di cozze e vongole. All’epoca c’erano quattro regolamenti che gestivano la questione dell’igiene degli alimenti, ma quelle norme specifiche non venivano applicate alla produzione primaria, perché l’allevamento è considerato come tale e quindi non era prevista la possibilità dell’autocontrollo. Io prospettai agli allevatori che per avere la garanzia di non incorrere in un’eventuale immissione sul mercato di biotossine, era opportuno introdurre un sistema di autocontrollo settimanale, da affiancare ai controlli ufficiali obbligatori che venivano fatti ogni 15 giorni.
Una scelta innovativa quindi:
Innovativa, ma che soprattutto implicava un cambiamento mentale da parte degli allevatori.
Quindi una scelta di responsabilizzazione diretta degli allevatori.
Certo, è stato un passaggio fondamentale e loro sono stati bravissimi, non finirò mai di dirlo. Hanno accettato, nonostante incorressero in ulteriori spese per gli esami, pur con qualche agevolazione, perché hanno capito che bisognava collaborare insieme per accrescere il settore e dare garanzie ai consumatori.
Anche per non incorrere in problemi penali rilevanti?
Certo, anche perché non prelevando il prodotto per la commercializzazione, ma facendolo rimanere in acqua fino all’esito dell’esame, non solo vi è maggiore sicurezza, ma si evitano conseguenze penali. Per loro questa soluzione è stata veramente la chiusura di un cerchio virtuoso.
Quindi la raccolta avviene dopo che vengono effettuati i controlli e le analisi?
Esatto, l’autorizzazione arriva dopo che abbiamo il riscontro. Il tutto viene fatto velocemente perché i campioni vengono portati nel laboratorio di Udine, che se è tutto regolare autorizza raccolta e vendita, in caso contrario attiva il fermo.
Perché si depurino ulteriormente?
Esatto, perché occorre il nuovo riscontro del laboratorio considerato che l’acido okadaico (tossina che è la principale causa della sindrome diarroica da molluschi bivalvi ndr) è pericoloso, aumenta esponenzialmente in maniera subdola e solo con l’analisi sul prodotto si può verificarne la presenza. Per questo nel 2012 abbiamo fatto la prima delibera con il primo protocollo operativo, al quale hanno aderito quasi tutti i produttori. Da allora la collaborazione è stata sempre proficua e ha determinato un riscontro positivo anche nella grande distribuzione, che senza questi controlli a garanzia non comprava il prodotto. È una procedura che anche altre Regioni hanno cercato di applicare, talvolta non riuscendoci, come in Veneto o in Emilia Romagna. In queste Regioni i produttori sono tanti e non si è riusciti a metterli d’accordo tutti, perché ci sono degli impegni a cui il produttore deve sottostare.
In sostanza in Fvg le dimensioni hanno aiutato?
Certamente, così come la mentalità. In Friuli Venezia Giulia i produttori si sono resi conto che non c’erano alternative e così negli anni abbiamo prodotto ulteriori delibere, ulteriori protocolli, finché nel 2017 è nato il CTI (acronimo del Centro Tecnico Informativo ndr) il quale raccoglie tutte le informazioni con propri tecnici, verifica tutto quello che succede e a sua volta emana e diffonde tutto quello che conosce. Quindi si è creata una rete che parte dai produttori e coinvolge le aziende sanitarie, l’Istituto Zooprofilattico, l’ARPA e il Servizio Veterinario. È un grandissimo lavoro e che mi auguro che si continui su questa strada, perché il riscontro è stato molto positivo.
Quindi sul fronte della sicurezza alimentare va tutto bene?
Su quello certamente, anche se attualmente ci sono altri problemi, vuoi economici, vuoi per il Covid, vuoi per la flessione di prodotto e per le problematiche meteo-marine e delle acque. Il nostro obiettivo è quello di porre rimedio a questa situazione non vessando i produttori, che per altro non è mai stata la nostra prerogativa e cercando invece un ulteriore coinvolgimento e collaborazione. Abbiamo bisogno di trovare formule diverse per il campionamento ufficiale, perché l’ARPA, che lo faceva precedentemente, non opera più. Noi non abbiamo il personale per prelevare il campione, perché a farlo deve essere un organo ufficiale. Fra l’altro ARPA aveva anche le barche, che noi non abbiamo. Finora abbiamo sopperito con soluzioni transitorie, ma è giunto il momento di trovare un’alternativa affidabile.
Di cosa si tratta?
Mi riferisco all’acquisizione del campionamento in banchina. Si tratta di un nuovo metodo che è già applicato nelle Marche da 10 anni. Daremo in sostanza ulteriore mandato all’allevatore di reperire il campione in determinati punti di campionamento, definiti per norma e per una determinata specie.
Quindi ci sono delle mappe che indicano i punti dove volta per volta devono prelevare?
Esatto, i produttori faranno i prelievi, che diventeranno comunque campioni ufficiali sulla scorta di determinati protocolli e adeguata formazione con le necessarie certificazioni.
Devono insomma prendersi la responsabilità?
Certo, come del resto hanno fatto fino ad oggi, si tratta solo in sostanza di un ulteriore passo.
Diciamo che è una semplificazione per riuscire a risolvere il problema del campionamento sul luogo.
Esatto, per garantire la commercializzazione, perché se non abbiamo quei campioni le acque che sono sempre zonate in tre categorie resteranno operative.
Come sono zonate le acque?
In Fvg abbiamo per la maggior parte zone di categoria A, in cui la vendita può essere fatta direttamente dopo la raccolta, la laguna è invece tutta B, il che significa che il prodotto deve subire una depurazione, le vongole nella fattispecie. Poi c’è la categoria C che va direttamente all’industria conserviera. Se non abbiamo i campioni di prodotto certificati per zona, dopo solo un mese, dobbiamo chiudere la zonazione. Per questo è necessario lavorare in sintonia e in accordo perché è interesse di tutti.
Sono previsti comunque dei controlli diretti da parte delle autorità?
Ovviamente l’autorità sanitaria, anche all’interno di questa nuova formula, può decidere di salire in barca con l’allevatore, ma sarà comunque una pratica non vessatoria. Del resto, operare con questo nuovo sistema sarà un gran vantaggio per tutti, in termini di ottimizzazione dei tempi di lavoro del personale e anche in termini economici, visto che gli allevatori sono già sul posto e prelevano il campione senza alcun aggravio di costi.
C’è il rischio che qualcuno faccia il furbo?
Come già detto non è nel loro interesse, anche perché ci sono determinati parametri che devono essere rispettati, a partire dalla tracciabilità del mezzo con il gps. Noi faremo la formazione spiegando come prelevare il campione, come conservarlo, in maniera tale che ciò avvenga nella maniera più semplice e organizzata possibile.
Per l’emergenza Covid, al di là delle ripercussioni di mercato, ci sono stati particolari accorgimenti negli ultimi mesi?
All’inizio, quando c’era la chiusura totale, c’è stato un blocco di tutta l’attività, ma dopo poco tempo tutto si è normalizzato. Per fortuna, il periodo non era quello di punta per la commercializzazione ma periodo di crescita del prodotto e questo ha aiutato, minimizzando le ripercussioni. A livello di struttura sanitaria infatti tutto è rapidamente ripreso, sia i controlli che le certificazioni e quindi il Covid in sé non ha inciso molto. Hanno inciso invece di più altre situazioni, quelle meteo-marine in particolare. Mareggiate che hanno distrutto molte aree lagunari dove venivano seminate le vongole, con una conseguente perdita di prodotto notevole. Sulle cozze, essendo invece in mare aperto, la produzione continua sempre e comunque.
In conclusione, quale è il suo giudizio sul settore?
Ritengo che in Fvg sia stato fatto un buon lavoro fin dal 2012. Oggi siamo una Regione che viene presa a modello da altre realtà. Sono soddisfatto dei risultati raggiunti, anche se mi auguro, per il bene del settore, un incremento della produzione, che garantirebbe una migliore situazione economica per gli allevatori e per l’intera filiera.